Non spargerai il tuo seme nel territorio del padre. Non deporrai uova. Non ti nutrirai dei fratelli e delle sorelle e li proteggerai anche a costo della vita. Ti sottometterai ai genitori e ai fratelli maggiori. Tu vivi grazie alla colonia e per la colonia e non avrai altro padrone all’infuori di essa.
Il nuovo giorno inizia con il coro dei comandamenti che tutti i sottomessi recitano sotto lo sguardo compiaciuto della coppia dominante, ma oggi è diverso, lo sento dai miei livelli ormonali. Già da un po’ mi sono accorto di essere cresciuto e di avere guadagnato le strisce sul muso che indicano l’entrata di diritto tra gli adulti della mia specie. Chi sono io? Sono un ciclide, la punta di diamante dell’evoluzione ittica. La scienza umana afferma che appartengo alla specie Neolamprologus pulcher e che vivo in uno dei più grandi laghi al mondo, il Tanganica. Appartengo a una famiglia numerosa, anzi alcuni dicono che quella dei ciclidi è la famiglia di pesci più grande al mondo, ma lascio la teoria agli uomini. Quello che conta quando vivi in un lago come il mio è mangiare e non essere mangiato. Inoltre, qui tutti o quasi sono ciclidi. Devo dire altro? Quando osservo il grande verde, l’acqua che ribolle di fitoplancton e dello zooplancton che lo caccia e di cui a mia volta mi nutro, scorgo unicamente pesci della mia schiatta. Forse i ciclidi non sono così tanti e quello che si tramanda sono solo bugie inventate per impedirci di andarcene. Nella colonia, infatti, si racconta di fratelli e sorelle che si sono allontanati e che non hanno mai fatto ritorno Il male esiste e ha la forma di un enorme Boulengerochromis predatore o di un lurido mangiatore di scaglie del genere Perissodus, ma io so che alcuni della mia generazione se ne sono andati per ritornare smagriti e smunti. Con misericordia li abbiamo accettati di nuovo tra noi, purché si rassegnassero ad occupare i gradini più bassi nella gerarchia. A volte sono tentato anch’io di fuggire e di fondare un gruppo tutto mio. Magari un fratello o una sorella ha avuto il coraggio che mi manca e la fortuna gli ha arriso; per questo mi soffermo a scrutare i vicini nella speranza di riconoscere qualcuno. Ne osservo i filamenti e le strisce scure della livrea, indugio sulle forme appesantite delle femmine gonfie di uova e su quelle massicce dei maschi. In quasi ognuno di loro mi pare di riconoscere l’odore familiare di un parente. Forse esiste un labirinto di rocce che accoglie i profughi delle colonie, una terra promessa dove abbonda il plancton e scarseggiano i predatori, ma si trova a distanze impensabili per un pesciolino di cinque centimetri, coda esclusa, come me e lungo un percorso costellato di colonie come la mia.
Sono nato mesi fa da un uovo deposto da mia madre sotto un sasso e subitaneamente fecondato da mio padre che teme i maschi estranei più dei predatori. Un uovo mangiato è una piccola perdita che può essere velocemente rimpiazzata da una femmina in buone condizioni. Un figlio illegittimo è una serpe in seno che consuma le risorse della colonia e propaga figli impuri. Da uovo sono stato ventilato e ripulito dai funghi, da giovane sono stato trasportato e protetto dai miei fratelli e sorelle più grandi che vivono insieme a mamma e papà in uno dei territori più estesi del circondario. Non è da tutti vivere in un clan costituito da una coppia di adulti dominanti e da 16 aiutanti. Ora da grande sono forza lavoro. Mio padre si è guadagnato il suo rispettabile posto nella società dei ciclidi nel modo giusto, sottomissione dopo sottomissione, ed ora è un pesce realizzato e di notevoli dimensioni; possiede un pezzo di costa rocciosa di qualche metro quadrato di estensione ed ha una compagna, mia madre, che ad ogni primo quarto di luna depone qualche decina di uova. Mio padre non perde occasione per mostrare la distesa di roccia e sabbia che chiama casa ai nuovi nati. Mostrare significa possedere e dominare e dominare vuol dire gonfiare a dismisura gli organi riproduttori. Nulla ha più potere su di noi degli ormoni che decretano il nostro stato di salute e vigore. L’ormone giusto e sei in cima al mondo, al vertice della scala gerarchica della colonia, un attimo di cedimento e precipiti in fondo, tra coloro che allevano la prole altrui o tra coloro che son perduti, i cacciati dalla colonia.
Non appena sono stato in grado di nuotare mio padre mi ha mostrato il territorio. Eravamo circa una trentina, ma solo cinque o sei di noi sono arrivati all’età adulta. Gli altri sono stati divorati, forse da quei terribili pesci viscidi e furtivi simili a serpenti che si aggirano tra le rocce. Quando gironzolano intorno alla colonia la linea laterale inizia a pulsare impazzita sotto il morso della paura. Oggi, come quella volta in cui mi mostrò i confini della colonia, mio padre mi avvicina e mi parla. Espande le pinne fino all’ultimo raggio e mi dà qualche colpetto sulla testa con il muso mantenendomi sotto di sè. È il suo modo per dire che si compiace di come sono cresciuto sano e vigoroso e di come sono diventato un bravo figliolo timorato di lui e della scala gerarchica. Nel frattempo inizia a comunicare con la retorica delle grandi occasioni. “Ora sei aiutante scelto. Il futuro della colonia è nelle tue mani. Ricordati, proteggere e servire, questo è il tuo compito. Proteggere e servire.” Un attimo dopo pinneggia veloce verso i massi più riparati dove lo aspetta per l’accoppiamento una giovane femmina. La mamma è sparita un paio di giorni fa, al crepuscolo, e una femmina è ascesa dopo qualche breve scaramuccia al suo posto di comando e di riproduzione. Inizia in quel momento la mia scalata nel clan. Nei primi giorni sono ai margini del territorio, nei luoghi dove i predatori colpiscono maggiormente. Sono fortunato e soprattutto veloce. Colpisco con violenza i pesci che vogliono divorare i miei protetti e so quando fuggire in presenza di un avversario molto più forte e grande. Il tempo mi insegna che anche per me vi sono occasioni riproduttive. La mia prima volta è con la giovane compagna di papà. Lui si distrae un attimo e in quell’istante la femmina mi guarda e depone un uovo. Mi precipito ed emetto un nuvoletta di spermi per poi fuggire a pinne levate. Papà sta tornando al luogo di deposizione e non gradirebbe scoprire che la seconda moglie (o la terza, non ricordo bene) lo tradisce con uno dei figli prediletti. Per noi ciclidi la tempestività nell’eiaculazione è un pregio e l’indulgere nelle pratiche della fecondazione è un lusso che non ci è concesso. Sono stato tentato dal sesso tante altre volte, ma non sono certo di essere divenuto padre. I miei spermatozoi, infatti, si trovano ogni volta a combattere con quelli degli altri maschi per arrivare primi all’uovo, ma le mie gonadi atrofizzate hanno imparato a produrre spermi resistenti e vigorosi in grado di eludere i mille tranelli escogitati dagli altri per impedire loro l’entrata nella cellula uovo. Il tradimento perpetrato ai danni di mio padre mi ha balenato il dubbio di essere a mia volta frutto di una scappatella della mamma. Non sono turbato più di tanto. Ho già detto che quello che importa è mangiare e non essere mangiato?
Perché rimango nella colonia? Voi ve ne andreste? Noi pulcher non siamo una stirpe di eroi e esploratori, anche se il momento in cui la colonia ti scaccia arriva inesorabile per tutti i sottoposti. Nella nostra vita ci spostiamo di poco, manciate di centimetri, al massimo metri. La colonia dà sicurezza, rifugio, cibo e la possibilità di impratichirsi nell’allevamento della prole a costo zero. In cambio ci è richiesto di non riprodursi.
Ho guadagnato il centro della colonia, ben distante dai predatori più temibili e dai rissosi vicini. Giovani femmine, che potrebbero essere le mie nipoti, si avvicinano con fare voluttuoso mostrandomi le loro pinne dai lunghi filamenti scolpite da generazioni di accoppiamenti tra individui dai destini fortunati e da un senso estetico teso a rendere il più attraenti possibile. Quasi tutta la mia giornata è spesa nell’accudimento dei piccoli, nella pulizia del territorio e soprattutto nell’alimentarmi. Papà è stato sostituito da un giovane maschio che passa la maggior parte del tempo a sottomettere i rivali, lo capisco dal suo livello di cortisolo, l’ormone dello stress. Il potere logora anche chi lo esercita? Io, invece, non me la passo tanto male. Le mie compagne di lavoro non hanno perso l’abitudine di deporre qualche uovo per me, il cibo abbonda e il tempo non manca. Un domani il capo della colonia potrebbe cadere vittima di un predatore. Oppure potrei affrontarlo e sottometterlo, sono forte ora. Allora sarà il mio turno di comandare, il turno dell’eterno secondo. Adesso scusatemi, devo tornare al mio compito. Fecondare mi fornisce le energie necessarie per prendermi cura dei figli del gruppo con rinnovato entusiasmo. Forza, piccoli, ripetiamo insieme.
“Non spargerai il tuo seme nel territorio del padre. Non deporrai uova. Non ti nutrirai dei fratelli e delle sorelle e li proteggerai anche a costo della vita. Ti sottometterai ai genitori e ai fratelli maggiori. Tu vivi grazie alla colonia e per la colonia e non avrai altro padrone all’infuori di essa.”
Wong M, Balshine S (2011). The evolution of cooperative breeding in the African cichlid fish, Neolamprologus pulcher. Biological reviews of the Cambridge Philosophical Society, 86(2): 511-30
Livio Leoni – AIC (Associazione Italiana Ciclidi)
Vedi la scheda: Neolamprologus pulcher
Credits foto: Hagblom, F. – JJPhoto – Wikipedia Guérin Nicolas – Wikipedia Karin Schneeberger – AIC Giorgio Melandri