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Tecnica Marino

Schiumazione asciutta o bagnata?

15/07/20140

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Geppy Apuleo dal 1995 operatore del settore acquariofilia, dal 2001 prima produttore/progettista di attrezzature per la filtrazione di acquari marini.
Attualmente consulente di LGMaquari. Appassionato di acquari mediterranei, subacquea e biologia marina.


L’articolo sulla schiumazione di Geppy Apuleo, scritto a suo tempo per la rivista Aquariophylia, viene da noi pubblicato grazie alla concessione della rivista stessa, nella persona del Dott. Valerio Zupo che ringraziamo.

La vera evoluzione dell’acquariofilia marina è legata all’apparizione dei primi schiumatoi veramente efficienti ed “all’invenzione” del berlinese che rese obsoleti, da un giorno all’altro, i vecchi sistemi basati su filtro esterno e sotto-sabbia. Studi approfonditi sulle biocenosi coralline tropicali mostrarono l’incredibile simbiosi con Dinofite del genere Zooxantella e l’importanza delle cromoproteine nei processi fisiologici degli Antozoi. L’obiettivo divenne il controllo dei nutrienti, nonché delle sostanze ingiallenti. D’improvviso quindi lo schiumatoio divenne la soluzione a tutti i problemi. Lo sviluppo degli schiumatoi, da allora, si è svolto in alcuni casi in modo empirico, in altri casi seguendo teorie più o meno solide, in altri ancora del tutto casualmente, con prove successive prive di una reale idea e di un vero progetto. La schiuma all’interno del cilindro automaticamente dava la certezza, spesso illusoria, del funzionamento. La comprensione dell’importanza di avere una buona colonna di contatto, di un’interfaccia estesa aria-acqua e quindi di bolle di ridotte dimensioni, lo studio dei materiali, delle giuste proporzioni, dell’idrodinamismo all’interno della camera, tutto ciò ha permesso la creazione di prodotti maggiormente efficienti, compatti e versatili. Lo studio dettagliato di questi processi si è avuto nei primi anni novanta ad opera di Gregory and Zabel (1990), Lawson (1994), Timmons (1994) e Summerfelt (stampe).
Al fine di comprendere meglio i processi che avvengono all’interno di uno schiumatoio è fondamentale comprendere la chimica degli acquari e degli ecosistemi marini.
Spendiamo due parole sui composti organici: sono costituiti da uno scheletro di carbonio al quale sono legati altri atomi, che concorrono alla formazione della molecola: fosforo, zolfo, idrogeno, ossigeno e azoto sono tra gli elementi più diffusi. Il fine ultimo dell’alimentarsi è quello di assumere dall’esterno tali molecole organiche e ricavarne energia per compiere lavoro, per la sintesi di nuove molecole, per il mantenimento dei potenziali di membrana e in generale per tutte le attività metaboliche.

Alcuni esempi di composti organici:
• zuccheri semplici e complessi
• lipidi di vario genere
• proteine
• acidi nucleici
• tossine
• Isoprene e terpeni
• Idrocarburi aromatici come ad esempio benzene e fenoli

Come si può ben comprendere, esiste un’infinità di molecole organiche dalle proprietà chimiche, fisiche e biologiche più disparate. In mare queste molecole sono rinvenibili in varie forme che possono essere divise facilmente, in base alla granulometria, in sostanza organica disciolta e sostanza organica particellata. La prima, detta DOM, comprende particelle delle dimensioni inferiori a 0,5µm; la seconda, detta POM, è costituita da particelle più grossolane.


Sfera di idratazione. Lo ione positivo è circondato da molecole d’acqua orientate.

Il materiale organico, alimento per coralli e pesci, se in eccesso, diviene fonte di nitrato e fosfato. Questi possono trovarsi sia in forma organica sia inorganica; parleremo quindi di azoto totale sul particolato (P.N.), azoto totale disciolto (T.D.N.) e azoto inorganico (T.D.I.N.), così come di P.P. (fosforo totale sul particolato), T.D.P. (fosforo totale disciolto) e Fosforo inorganico. Azoto e fosforo in forma organica sono eliminati dallo schiumatoio. Le forme inorganiche quali ammoniaca/ammonio, nitriti, nitrati, ortofosfati, sono fortemente legate alle molecole d’acqua risultando quindi non estraibili.
Diverso è il discorso per il particellato giallognolo, da molti considerato tipico di ambienti chiusi con basso scambio idrico. È innegabile che l’inquinamento antropico in mare e l’accumulo di cataboliti, in acquario o in bacini chiusi, sono i principali responsabili dell’accumulo di sostanza giallognola che prende il nome di “materiale giallo”, “Gelbstoff” o “Colored dissolved organic matter” (CDOM). In realtà è stato dimostrato che essa gioca probabilmente un importante ruolo ecologico negli ambienti litorali. Chimicamente il CDOM è una miscela di polifenoli, come ad esempio tannini, di alcaloidi, proteine e carboidrati complessati. Ovviamente queste sono sostanze che devono necessariamente essere estratte poiché causano aumento della torbidità e della rifrazione luminosa. Sono però, per l’acquariofilo principiante, un utile indice di accumulo di sostanze indesiderate.
Come già detto molecole inorganiche come nitriti, nitrati e fosfati sono fortemente legate all’acqua. Questi legami, detti ponti idrogeno, aumentano la solubilità delle molecole e creano attorno a queste uno strato di molecole d’acqua detto “sfera di idratazione”. Non tutte le molecole sono idrofile. Alcune, contenenti ad esempio lunghe catene di carbonio e idrogeno, vengono dette idrofobe e non stabiliscono legami particolari con i mezzi acquosi. Formeranno quindi fasi separate: un esempio pratico sono le gocce d’olio in acqua. Esempi di molecole idrofile sono gli zuccheri, l’alcol etilico, la glicerina, alcuni amminoacidi, alcune vitamine come la B6, B 12 la biotina la niacina e la vitamina C. Esempi di molecole idrofobiche sono gli oli, il colesterolo, i grassi, alcune vitamine (A, D, E, K), gli idrocarburi e alcune sostanze come DDT e PCB che possono dar vita a fenomeni di biomagnificazione, poiché hanno la capacità di penetrare nei tessuti e accumularsi nelle aree ricche di grasso.
Ogni molecola organica ha il proprio grado di idrofilia/idrofobia e risulta quindi più o meno affine ai solventi acquosi. Vi sono inoltre molte molecole organiche che possiedono sia regioni idrofile che idrofobe; queste molecole sono dette anfipatiche (o anfifiliche).


Esempio di molecola anfipatica: testa idrofila e code idrofobe.

Un esempio classico sono le proteine, i fosfolipidi, acidi grassi e saponi. Le membrane cellulari ad esempio, sono in larga parte costituite da sostanze anfipatiche: la struttura a doppio strato fosfolipidico permette di separare ambiente esterno e interno delle cellule. Le sostanze anfipatiche tipicamente sono caratterizzate da una testa idrofila che forma legami ad idrogeno con l’acqua e da code idrofobe che sfuggono da essa. In acqua formano, oltre al già menzionato doppio strato fosfolipidico, anche degli aggregati detti micelle ove le sostanze anfipatiche (definibili tensioattivi) si posizionano con le code apolari tutte rivolte verso il centro della micella e con le teste rivolte verso il solvente acquoso.

Si forma così un’area centrale idrofoba chimicamente stabile. Perchè una micella si formi è però necessario superare forze di repulsione normalmente presenti nelle aree apolari delle molecole e si indica come “concentrazione micellare critica”, o CMC, la concentrazione di tensioattivo minima necessaria alla formazione delle micelle.
Un’alternativa a questa disposizione si ha nel momento in cui si formano bolle d’aria nel mezzo acquoso. In questo caso le sostanze anfipatiche raggiungono la massima stabilità orientando le code non polari verso il centro della bolla d’aria e le teste verso l’esterno.

Adesione delle molecole anfipatiche alla bolla d’aria.
Da notare che queste si dispongono necessariamente in un monostrato attorno alla bolla d’aria.
Processo di asciugatura in uno schiumatoio

Questa disposizione rende le bolle d’aria delle vere e proprie superfici adsorbenti che permettono la raccolta e l’ancoraggio del materiale organico. Molecole diverse avranno affinità diverse per l’interfaccia aria/acqua: non tutte le molecole quindi legheranno la superficie delle bolle allo stesso modo e tra esse vi sarà una sorta di competizione per lo spazio disponibile sull’interfaccia. Questo fenomeno è reso ancora più importante se si considera che i tensioattivi, detti anche surfactanti, non possono fare altro che disporsi in monostrato attorno alla bolla.
Ovviamente maggiore sarà la superficie di interfaccia maggiore sarà il numero di surfactanti che potranno “aderire” alla bolla d’aria. Ipotizzando di immettere un determinato volume di aria in un mezzo acquoso, la superficie di interfaccia totale sarà tanto più estesa quanto più saranno piccole le bolle d’aria. Ipotizzando che le bolle abbiano la forma di una sfera si dimostra matematicamente che con l’aumentare del raggio, il volume della sfera cresce più della superficie. Infatti il rapporto fra queste due quantità è r/3.

Alla luce di quanto spiegato circa il rapporto superficie/volume è necessario comprendere quanta aria immettere nello skimmer al fine di ottimizzare il numero e la dimensione delle bolle e rendere performante il suo funzionamento. È necessario cioè immettere la “giusta” quantità di aria poiché vi è una proporzione aria/acqua che dipende da una serie di variabili tra cui salinità e temperatura dell’acqua. Immettendo poca aria avremo una schiumazione inefficiente per ridotta superficie di interfaccia, immettendo troppa aria avremo un fenomeno di bubble merging: le bolle, troppo vicine le une alle altre, acquistano sufficiente forza da fondersi in bolle di dimensioni maggiori e con superficie utile totale minore.


Esempio di schiumazione secca o asciutta

Avere bolle piccole, oltre ad aumentare la superficie di interfaccia, permette di aumentare decisamente il tempo di contatto tra la bolla stessa e l’acqua. Bolle piccole infatti possiedono una minore velocità di risalita. Mediante l’equazione di Hadamard-Rybczynsk (derivata dell’equazione di Stokes) è possibile quantificare la velocità di una bolla sferica ipotetica che si muove in un ambiente fluido. Nel dettaglio:

R è il raggio della bolla.
R 2 g l’accelerazione gravitazionale.
Pb la densità della bolla
Po la densità dell’ambiente fluido
µb la viscosità della bolla
µo la viscosità dell’ambiente fluido.

Si può facilmente intuire come al diminuire di R, cioè del raggio della bolla, la velocità diminuisca. Alcuni autori reputano che il raggio delle bolle diminuisca con l’aumentare della concentrazione di sostanze schiumabili, in particolare proteine (Chen et al. 1992).


Raccolta di una elevata quantità di materiale organico


Dettaglio di una colonna di contatto: bolle piccole ed in numero elevato.

È importante considerare che se da un lato un tempo troppo breve non permette l’adesione dei surfactanti alla superficie di interfaccia, un tempo di contatto troppo lungo rischia di peggiorare la qualità della schiumazione. Tempi di contatto troppo lunghi porterebbero ad una selezione dei surfactanti adesi alla bolla: le specie chimiche meno affini all’acqua si legherebbero meglio e in maggiore quantità riportando in soluzione specie chimiche maggiormente idrofile. Questo fenomeno porta all’eliminazione solo di alcuni tipi di sostanze esponendo l’ecosistema al pericolo di accumulo selettivo di talune molecole. A questo proposito è necessario, per un corretto funzionamento degli skimmers, prevedere un’area di relativa “calma” idrodinamica alla base del collo dello schiumatoio ove le bolle iniziano il processo di accumulo e di formazione della schiuma vera e propria.

Schiuma pronta per la tracimazioneSchiuma densa e carica di materiale organico, indice di uno schiumatoio efficiente e ben regolato

Quali sono quindi le molecole realmente raccolte ed estratte dallo schiumatoio? In allevamento più autori (Timmons, 1994) reputano lo schiumatoio capace di estrarre unicamente molecole al di sotto dei 30 ?m. Chen et al. (1992) hanno dimostrato come il diametro medio delle particelle, in allevamenti intensivi, sia di 10.6 ?m. Altri autori, occupandosi di trattamento acque reflue e metallurgia reputano gli schiumatoi capaci di estrarre anche particolato grossolano (Conway and Ross, 1980; van der Toom, 1987). La nostra personale esperienza mette in luce come la maggior parte delle molecole organiche anfipatiche siano facilmente schiumate. In questa categoria inseriamo sia DOM che POM; non soltanto le piccole molecole, i batteri e il phytoplancton, ma anche il detrito, lo zooplancton e la materia organica grossolana sono presenti nello schiumato.

È possibile inoltre estrarre particelle inorganiche e minerali come ad esempio polveri di carbone, particellato derivante dalle resine antifosfati etc … L’estrazione delle molecole organiche determina non solo la limitazione dei nutrienti ma anche l’eliminazione di tutta una serie di sostanze non desiderate come tossine e sostanze ingiallenti (CDOM). Nitriti, nitrati e fosfati non sono estratti dagli schiumatoi. Studi scientifici hanno evidenziato una presenza nello schiumato di altri ioni: calcio, sodio, silicio, ferro, alluminio, iodio ecc. Questi provengono in gran parte da materiale organico o organicato. Molti metalli infatti possono complessare con molecole organiche (acidi umici, alcuni flocculanti ecc.) ed essere schiumati (Eisma, 1986, Liss et al. 1975). Questo processo, se da un Iato può abbattere alcuni oligoelementi, dall’ altro permette di tenere sotto controllo alcuni eventuali metalli pesanti (es.: rilascio di ferro da parte delle resine antifosfato a base ferrosa). Anche il fosfato inorganico può rientrare, in alcuni casi, nello schiumato (Tri, 1975): può complessare con molecole di carbonato di calcio formando un composto detto Apatite (Ca5(PO4)3[F, OH, Cl]).


Schiumatoio assolutamente da pulire. Si noti l’eccessiva presenza di materiale organico accumulato lungo le pareti del collo che ne può limitare l’efficienza.

Dallo schiumato sono invece escluse tutta una serie di piccole molecole organiche particolarmente idrofile come ad esempio zuccheri semplici, gli ossalati, alcuni alcoli, e l’acetato. La non estrazione di questi composti è alla base delle tecniche a proliferazione batterica, eredi della vecchia tecnica della VODKA. Queste sostanze non schiumabili, possono essere dosate come fonti di carbonio utili alla proliferazione batterica; i batteri, al contrario, sono facilmente allontanati dal “sistema acquario” mediante schiumazione.

Processo di schiumazione: la schiuma lega ed asporta notevoli quantità di materiale organico.Materiale maleodorante raccolto in un bicchiere.


Schiuma ricca di surfactanti. Alcuni schiumatoi in queste condizioni (mal tarati e/o mal progettati) possono allagare il bicchiere. In questo caso si osserva un buon processo di asciugatura anche con forti carichi organici.

La formazione della schiuma è un processo che avviene nella parte alta degli schiumatoi, per la precisione a partire dall’imboccatura del collo. Le bolle si ritrovano una vicino all’altra, ricche di materiale organico, ed iniziano ad interagire. Queste iniziano a fondersi diventando sempre più grandi e contemporaneamente viene eliminata parte dell’acqua residua tra le bolle stesse. Questo processo è detto in gergo “asciugatura”. Si forma un vero e proprio patchway di strati successivi di aria, materiale organico ed acqua. Maggiore sarà l’eliminazione dell’acqua residua, più densa sarà la schiuma; questo tipo di schiumazione viene definita “secca” o asciutta.

La sostanza organica “catturata” dalle bolle tende ad agglomerarsi formando un particellato dall’aspetto fangoso. Tale sostanza ricca di organico, deve essere necessariamente schiumata in un acquario ben gestito. Sono le bolle che arrivano dal basso, dalla colonna di contatto, che permettono a questa sostanza particellata di tracimare all’interno del bicchiere per essere poi eliminata. È evidente, per quanto prima illustrato, che l’efficienza di uno schiumatoio è legata a come viene “lavorata” l’acqua all’interno della colonna di contatto. Si deduce facilmente che una colonna di contatto di maggiore volume consente prestazioni superiori ed altrettanto facilmente si deduce che la forma cilindrica è e resta l’ideale in quanto quella conica, attualmente di moda, non solo a parità di impronta a terra riduce drasticamente il volume utile, ma addirittura “invita” al bubble merging. Uno schiumatoio ben progettato NON deve richiedere il livello dell’acqua in colonna al di sotto del collo del bicchiere (salvo casi eccezionali) ma, come detto sopra, deve sfruttare al meglio la colonna di contatto dove avviene la “raccolta” delle sostanze schiumabili. La progettazione del collo del bicchiere è strettamente legata al progetto generale e deve consentire, entro certi limiti, di scegliere la taratura ottimale lavorando sulla quantità di acqua trattata e di aria insufflata.

Nel processo di formazione della schiuma osserviamo tanto maggiore accumulo di sostanza organica quanta ne è presente nel mezzo. Questo fenomeno può trarre in inganno un osservatore poco attento: schiumatoi poco performanti possono schiumare molto materiale in senso assoluto ma poco in relazione alla reale quantità di DOM e POM presenti in acquario. Questo fenomeno è reso evidente dall’incapacità di queste attrezzature di abbattere i nutrienti dando un accumulo cronico di nitrati e fosfati. Inoltre solitamente gli schiumatoi MAL progettati hanno un meccanismo di asciugatura della schiuma completamente inadeguato; questo causa esclusivamente uno schiumato bagnato e quasi sempre povero, in percentuale, di materia organica, con ovvie ripercussioni sulla salinità.


Per ottenere successo con gli invertebrati è necessario utilizzare uno schiumatoio efficiente.

E finalmente la risposta alla domanda:
“è meglio schiumare bagnato o asciutto”?


Oggi la maggior parte degli utenti utilizza schiumatoi in sump, ma esistono valide soluzioni che contemplano skimmers interni o appesi alla vasca, purchè di volume non troppo elevato.

Ai fini della resa di uno schiumatoio è fondamentale, come dimostrato e ripetuto sopra, quello che avviene nella colonna di contatto. In essa le bolle raccolgono e trasportano verso l’alto le sostanze schiumabili. Arrivate al collo del bicchiere, inizia l’asciugatura. Quando la schiuma comincia a formarsi è oramai terminata la fase “di raccolta”. Se l’asciugatura è breve o inefficiente si raccoglie troppa acqua nel bicchiere (che porta con se oligoelementi, sodio, ecc., che sono utili al sistema); se la schiuma si asciuga troppo si ha un accumulo di “melma” nel collo, che spesso non permette la tracimazione (fenomeno connesso con il bubble popping, cioè l’esplosione delle bolle). In realtà, se consideriamo solo la raccolta di materiale organico, non cambia nulla. Sia che lo raccogliamo nel bicchiere con tanta acqua che sotto forma di melma nel collo, avremo ottenuto lo stesso risultato.
Quindi, in conclusione, schiumare asciutto o bagnato significa poco se la colonna di contatto è progettata correttamente ed il rapporto acqua/aria, la dimensione delle bolle, la quantità di acqua trattata, ecc., sono quelle giuste.
La schiumazione ideale, però, permette di raccogliere la minor quantità possibile di acqua purchè sia sufficiente a far tracimare la schiuma. Personalmente ritengo che sia molto importante poter tarare lo schiumatoio in modo da adeguarlo al carico organico del momento, cosa che non molti schiumatoi consentono di fare. Ma questa è un’altra storia …
Ringraziamenti:
Un sentito ringraziamento al Dott. Mirko Mutalipassi che mi ha dato un grande ed insostituibile aiuto sulla parte tecnica dell’articolo e sui disegni.


Esistono persino piccoli schiumatoi adattabili in filtri esterni a bisaccia, benché la loro efficienza sia veramente molto bassa.

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Nel prossimo articolo:
– una spietata analisi dei pregi e difetti delle tipologie di skimmers in commercio; individuazione dei particolari che possono dare indicazioni sulla validità o meno di un prodotto, in funzione di quanto esposto nell’articolo.
– analisi dei condizionamenti sul funzionamento di uno skimmer in funzione delle scelte progettuali.
– gli errori di progetto più frequenti e come individuarli.
– lo skimmer ideale può essere realizzato ed installato a servire un acquario “casalingo”?


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