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Viaggi e Reportage dolce

IL Complesso Cichlasoma Labridens

15/04/20120

2653
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PREMESSA:
con il Messico si conclude la mia personalissima “trilogia ciclidofila”. In primo luogo fu il Malawi ed il suo lago (due viaggi ciclidofili “duri e puri”) poi l’Amazzonia (e qui cominciano le commistioni perchè l’interesse, che tuttora coltivo, per i loricaridi fu almeno di pari importanza nel decidere di andare…) da ultimo il Messico (in tale occasione sono stato “contaminato” dall’interesse per le piante grasse, come comunemente sono chiamati i cactus). Spero – prima o poi – di poter condividere coi lettori di AP le mie esperienze e conoscenze anche in questi due settori, vedremo …
Ferocactus pilosus – in località Chargo Blanco. Non solo ciclidi in Messico …Per ora mi limito al mio primo amore, i ciclidi, però … Però, come sempre c’è però … i ciclidi del Centro America sono un numero elevatissimo e frequentano, praticamente, ogni possibile ambiente. La loro presenza sul territorio prende le mosse dalla prima, grossolana ma efficiente, divisione che li differenzia a seconda che abitino areali del Golfo del Messico (Oceano Atlantico) o, al contrario, prosperino su quello che affaccia sull’Oceano Pacifico.
In ogni caso parlare, con cognizione di causa, di tutti loro è assolutamente al di sopra delle mie forze e quindi mi limiterò- tra quelli che popolano le zone del Messico che ho visitato – a discorrere del genere Herichthys.
Prima con una breve descrizione dell’intero genere (scientemente evitando gli eccessivi approfondimenti sistematici), successivamente presentando rapidamente, come breve è stato l’incontro avuto in natura, una specie “nuova” – ed ancora in attesa di corretta classificazione – di recente ascritta al genere, da ultimo approfondirò l’approccio verso il genere parlando della specie, fra le più belle presenti in natura, che da alcuni anni allevo – e riproduco – in acquario: Herichthys labrindes.Il complesso ‘Cichlasoma’ labridens, in natura (evoluzione delle conoscenze).E’ endemico del sistema fluviale del Rio Panuco situato nella parte nord-est dell’altipiano del Messico degradante verso l’Oceano Atlantico, e consta di un gruppo di specie di bellissimi ciclidi caratterizzati da un aggressività molto elevata. Attualmente in base alla revisione di Kullander (Kullander, 1996) è classificato come appartenente al genere Herichthys.
Tale bacino idrico, uno dei più belli e vasti dell’altipiano, versa da migliaia di anni il suo intero flusso nel Golfo del Messico modificando il suo corso secondo quanto accade al crinale occidentale dell’altipiano messicano: una lunga catena montuosa, compresa tra i paralleli 20° e 26°, che corre parallela alla costa del golfo medesimo. Nei secoli l’attività geologica ha consistentemente modificato la fisionomia della zona (e dei vecchi corsi d’acqua) creando scorci di incredibile bellezza e, al tempo stesso, delle stringenti “barriere biologiche” per la fauna ittica presente generando, come conseguenza, sentieri evolutivi divergenti che hanno portato, in molti casi, a nuove speciazioni.
Anche i ciclidi hanno seguito il medesimo iter e fra le conseguenze si può citare Herichthys bartoni (la cui appartenenza al genere è dibattuta) che, presente nella sola Valle del Rio Verde, è più vicino a Cichlasoma beani (probabilmente anch’esso riclassificato, tipico abitante dei bacini fluviali orientali del Messico) che alle altre specie del gruppo. Del gruppo fanno parte in principio Herichthys carpintis, quindi Herichthys labridens (il cui nome latino significa letteralmente “denti sul labbro superiore” e di cui, in dettaglio parlerò in seguito), ma non solo.
Puerta del Rio: un giovanile di Herichthys bartoni (che dopo le foto verrà liberato).

Difficile parlare, per evidenti motivi, delle forme ancestrali di Herichthys quello che, al momento, risulta è che le specie riconosciute dagli ittiologi sono: Herichthys labridens, Herichthys steindachneri ed Herichthys pantostictus anche se altre specie sono in attesa di aggiunta al “complesso” (ad es.: Herichthys sp. “white labridens”, vedi). Altro evento con cui bisogna confrontarsi è una relativa  chiarezza in merito alla classificazione di questi ciclidi ed anche in merito alla loro provenienza.

Herichthys steindachneri, a Tamasopo su un fondo di grossi massi, fango, rami e foglie secche.

La “località tipo”, ad esempio, di Herichtys labridens  (classificato, in precedenza, come Heros labridens da Pellegrin nel 1903) è indicata come Huasteca potosina (Alfredo Dugès), ma tale nome, se inteso letteralmente, include una larga parte dell’intero bacino idrico in esame!
NOTA TASSONOMICA:
La descrizione originale di H. labridens parla di massicci molari “faringeali” con la funzione di frantumare gusci dei molluschi, elemento sostanziale della dieta di questo ciclidi ma, al tempo stesso, caso unico nel “Complesso Herichthys labridens”.La tassonomia di questi pesci consta, nel tempo, di continue revisioni e contro-revisioni talvolta contrastanti sino a quella, da molti ritenuta “cardine”, di Kullander (1983) che ascrive al complesso le specie già menzionate (incluso Herichthys bartoni) e le specie facenti capo al gruppo Herichthys cyanoguttatus e, successivamente, Herichthys pantostictus.


Cascate di Pago Pago: Herichthys pantostictus che cura i piccoli.

Tutti i vari “morph” di Herichthys labridens, a ragione delle modeste differenze che li contraddistinguono, sono – almeno allo stato attuale delle conoscenze – considerati una unica specie (sono stati considerati esemplari provenienti da cinquanta, differenti, siti). Senza entrare in dettagli ulteriori si possono identificare popolazioni, come detto con differenze minime, provenienti dalla Valle del Rio Verde (comprende la sorgente di Media Luna – o Media Luna Spring – da cui prevengono i miei pesci), Rio Gallinas (c.d. “Tamul” labridens), basso Rio Panuco, Lagune costiere della zona di Tampico (il più grosso porto messicano della costa atlantica). Va notato che Herichthys labridens e Herichthys bartoni condividono pacificamente gli stessi ambienti ignorandosi vicendevolmente poiché insistono su differenti nicchie trofiche (circostanza che, quindi, li porta a non entrare in concorrenza) che parlano di molluschi (e simili) per H. labridens e di alghe e materia organica in decadimento per l’altro, numericamente i secondi (H. bartoni) sembrano essere superiori.
La tassonomia degli Herichthys (tutti) è quella sottostante e, oltre ad essere di riferimento per il prosieguo del discorso, recita sommariamente:

  • CLASSE: Actinopterygii,
  • ORDINE: Perciformes,
  • SOTTORDINE: Percoidei,
  • FAMIGLIA: Cichlidae,
  • GENERE: Herichthys,
  • SPECIE: labridens (ma anche H. pantostictus, H. bartoni, H. carpintis)

Rammento che le regole internazionali della nomenclatura binomia prevedono l’indicazione del genere con l’iniziale maiuscola, della specie con l’iniziale minuscola e tutto in corsivo.
Herichthys labridens – concludendo – è poi conosciuto, in ragione della peculiare livrea riproduttiva (gialla e nera), come “Yellow Labridens” (ovvero labridens giallo) in ambiente anglosassone, mentre localmente è noto come “Mojarra caracolera”.

Sugli altri pesci del Messico, brevemente…Per completezza di esposizione estrapolo, dalle mie “note di campo” di allora, almeno l’elenco dei pecilidi (praticamente sempre presenti) incontrati negli ambienti visitati. L’elenco è ncompleto, ma mi auguro renda l’idea. Insomma non ci sono solo ciclidi nelle acque del Messico.
Poecilia Mexicana era abbandonante nel canale di Media Luna, come pure nella sorgente stessa.
Xiphoporus nezahualcoyotl dimorava nel Rio “El Salto” nel sistema idrico del Rio Panico (vedi foto).
Xiphophorus pigmaeus e Xiphophorus Cortezi, erano, entrambi, presenti a Huichyuayan
Xiphophorus montezumae nuotava nelle acque sottostanti le cascate di Tamasopo, ma non solo, dove i maschi superavano i 10 cm.


Xiphophorus nezahualcoyotl che ho a lungo allevato nelle mie vasche.

E visto che ho parlato di raccolta e campionamento ecco una immagine (ripresa nella “Fish Room” di Juan Miguel Artigas Azas) che testimonia di metodo di lavoro (preciso, scientifico, ai limiti del maniacale) cui, dopo averlo appreso da lui, cerco di restare fedele usandolo in ogni possibile occasione.


Al rientro da una uscita sul campo (in basso si vede il contenitore termico usato per il trasporto): ogni barattolo contiene UN pesce, ogni barattolo reca l’indicazione di genere e specie (ove noto con certezza), del luogo di raccolta e – sommariamente – delle caratteristiche dell’acqua … Così si fa!!!

Incontro – in acqua – con Herichthys sp. ‘white labridens’Di questo “nuovo” (per quanto appena qui sopra detto) Herichthys fornirò alcune, incomplete, informazioni sulla base delle mie conoscenze ed esperienza personali (in natura).

Herichthys sp. ‘white labridens’, ripreso in natura.

OSSERVAZIONI PERSONALI:
Nel giugno del 2009 ho, personalmente, osservato molte coppie difendere gagliardamente piccoli gruppi di avannotti della taglia di 1/1,5 cm. La dimensione dei piccoli oltre a rimarcare la tempistica dilatata dei medesimi nel conquistare l’indipendenza dai genitori induce anche a riflettere sulla relazione fra numero di uova deposte e avannotti che si rendono, alla fine, autonomi. Questo numero, già ridotto rispetto all’origine, andrà poi soggetto ad una ulteriore falcidia prima che coloro che hanno raggiunto la taglia adulta obbedendo alla legge della sopravvivenza (dei migliori) e della selezione (della razza) possano provvedere a perpetuare la specie cui appartengono. L’elevatissima prolificità di tali pesci, spesso vista in acquario come una iattura, assume nel suo contesto naturale una valenza ben diversa, e molto più calzante.


Il salto d’acqua principale delle Cascate di Tamasopo.

NOMENCLATURA:

Nome comune: White labridens (ovvero: Labridens “bianco”). Tale nome – non corrispondente agli standard della nomenclatura binomia – sta ad indicare che ci troviamo di fronte ad una specie ancora non descritta scientificamente (la situazione, senza che io ne sia a conoscenza, potrebbe essere cambiata negli ultimissimi tempi). Il nome comune fa riferimento alla livrea di riproduzione (bianca/nera), fortemente contrastante con quella di H. labridens (conosciuto come “Yellow labridens” o Labridens “giallo”)
Locus Tipicus: Regione della Huasteca potosina, Messico (Artigas Azas, 1992).

INFORMAZIONI SULLA SPECIE:
Taglia: Maschi sino a 30 cm (media 20 cm), femmine di taglia minore, sui 15 cm.
Identificazione: Herichthys sp. ‘white labridens’ differisce dai consimili Herichthys. pantostictus (“Blue labridens” o Labridens “blu”) e Herichthys. labridens (“Yellow labridens o Labridens “giallo”) per la mancanza di “segni” sulla pinna dorsale ed anale, inoltre il corpo risulta più snello e privo di toni di verde sulla, ancora, pinna dorsale.

HABITAT:
Areale di distribuzione: Rio Gallinas e relative affluenti, bacino idrico del Rio Panuco, endemico del Messico (Artigas Azas, 1992).
pH: PH 7.5 o superiore
Temperatura: 18-28º C
Habitat: Vive in acque fresche su un substrato di sabbia, fango e sedimento. L’ambiente è ricco di grossi massi, rami e radici mentre raramente è presente vegetazione acquatica.


Esempio di biotopo frequentato da Herichthys sp. ‘white labridens’

ALIMENTAZIONE E RIPRODUZIONE:

Alimentazione: Invertebrati e (piccole) lumache scavati nel fondo con le pinne ed il corpo, in acquario accetta di tutto ma va, basicamente, considerate un carnivoro.
Riproduzione: Questi pesci necessitano di molto spazio per potersi muovere alla ricerca del sito di riproduzione, il linea generale 500 uova giallastre vengono deposte in una buca/grotta (naturale o scavata dai riproduttori), la cura dei nuovi nati prevede una notevole attività di “stirring” volta a sollevare particolato dal fondo al cui interno gli avannotti assumono velocemente le particelle di nutrimento presenti.

ALLEVAMENTO E COMPORTAMENTO IN VASCA:
Compatibilità/compagni di vasca suggeriti: Altri ciclidi e/o non ciclidi centro americani, di taglia adatta.
Arredamento vasca: Vedere Habitat (sopra). Privilegiare rusticità, solidità e semplicità di manutenzione. A lungo andare impossibile/molto difficile prevedere la presenza di vegetazione in vasca anche optando per piante estremamente rustiche.
Dimensione vasca (minima): 400 litri, molto meglio – potendo – eccedere.
Comportamento in vasca: ciclide tranquillo se messo in condizione di muoversi in spazi vitali, adeguati.

Esperienze con Herichthys labridensUna lunga, appassionante, storia che ancora continua …


Questa foto, scattata durante il secondo viaggio, è opera di mio figlio Leonardo che all’epoca aveva solo sei anni. Mi è molto cara.

 

L’incontro in naturaIl mio primo incontro con Herichthys labridens ebbe luogo durante il primo viaggio (2002) nella zona della sorgente di Media Luna, un ambiente interessante e molto peculiare che racconta di un bacino principale dalla profondità massima di 36 metri (non fu il nostro caso, ma è possibile effettuare immersioni con le bombole), ricco di tronchi pietrificati e ninfee (queste ultime possono essere ritrovate anche nei canali secondari).

Media Luna significa, in lingua locale, semplicemente “Mezza Luna”, il nome deriva dalla forma peculiare del bacino formato dalla sorgente stessa.

La sorgente di Media Luna (vista dall’alto) spicca nell’arido ambiente circostante.

Il sedimento al fondo è abbondante e si smuove facilmente. Tra i pesci – alcuni dei quali introdotti dall’uomo – si segnalano: Herichthys bartoni; Herichthys labridens; Herichthys carpintis oltre a killifish, pecilidi e goodeidi. Sono presenti anche tartarughe (tra cui Trachemys scripta subsp. Cataspila, nota con il nome comune di Huasteca(n) slider) e bisce d’acqua.


La sorgente di Media Luna (quelli in acqua … siamo noi!!!).

Effettuammo parecchie “snorkelate” lungo il bordo della Media Luna (e nei canali ad essa collegati, privilegiando sempre quelli meno “incisi” dalla pressione antropica): senza però la gradita ventura di poter osservare Herichthys labridens in acqua e quindi – forse per tale ragione – il mio interesse fu attratto principalmente da alcuni Herichthys carpintis (specie, come detto alloctona) caratterizzati da una colorazione particolare ed in secondo ordine da coloratissimi (livrea bianca e nera) Herichthys bartoni in riproduzione. Fu il classico errore di chi si lascia abbagliare dai colori, lo ammetto!

Esemplare di Herichthys carpintis ripreso a Media Luna.

Per fortuna alcuni degli amici presenti (dando ascolto alle raccomandazioni Juan Miguel Artigas Azas nostra guida nell’occasione) presero con loro alcuni giovanili, pescati dal bordo del canale stesso. Non li ringrazierò mai abbastanza per averlo fatto … anche se da quel giorno lontano all’avere i loro discendenti (quindi F1) in vasca sono passati molti anni.


Una scatto subacqueo, un immagine del genere è, per un ciclidofilo attento, un libro aperto!

Sia come sia un bel giorno (in occasione di un congresso AIC) entrai in possesso di una quindicina di giovanili che, trasportati con la massima cura, vennero a Roma con me. Quindici giovanili di un pesce destinato a diventare grande ed aggressivo sono un numero abbondante, che accettai di prendere solo perché, appunto, in caso di perdite … (ovviamente, di quindici pesci, ne diventarono adulti dodici, con tutte le conseguenze del caso).
Alla fine del processo di crescita (decisamente più lungo che complesso) – molti anni dopo quel fantastico viaggio – gli “Yellow labridens” erano, finalmente, nelle mie vasche. La mia avventura con i “grossi centro-americani” è iniziata allora e, ad oggi (2011), non si è ancora conclusa.

Allevamento in vasca La crescita dei pesci (e della vasca destinata ad ospitarli) andranno, praticamente, di pari passo dandovi delle sensazioni contrastanti: da una parte vi confronterete con pesci robusti, che accetteranno allegramente ogni tipo di cibo che verrà loro offerto dall’altra (se sceglierete il mio stesso “protocollo di allevamento” che prevede vasche non riscaldate atte a simulare la’lternanza delle stagioni) vi troverete di fronte a pesci caratterizzati da un tasso di accrescimento – a tratti – di imbarazzante lentezza.
Quando l’acqua della vasca raggiunge il margine inferiore dell’intervallo di temperature cui sono abituati in natura (circa 18° C) i pesci, senza mostrare alcun segno apparente di stress o disagio, semplicemente “stanno li” nuotando ed alimentandosi con pigrizia: null’altro! È impossibile, insomma, non notare che i pesci, trovandosi in acque “fredde”, sembrano entrare in una fase di dormienza che si interrompe non appena le temperature (all’arrivo della bella stagione) iniziano a crescere: l’aumento di taglia, e sotto determinate condizioni di intraprendenza, guadagna notevolmente in rapidità. Credo accada lo stesso laggiù in Messico …
Con l’aumentare della taglia il “fattore spazio”, o se preferite la dimensione della vasca si manifesta in tutta la sua importanza. Ad un certo punto i miei dodici soggetti iniziarono a mostrare incontrovertibilmente, con un tasso di litigiosità crescente, che la vasca (300 litri) in cui erano stati cresciuti – nonostante tutta la perizia impiegata nell’arredarla e nel gestire gli spazi – era piccola. Era l’ora di spostare il gruppo alla vasca principale e definitiva (dove vivono tuttora).


Pesci in crescita, nella vasca da 300 litri, La piantumazione è ancora rigogliosa.

All’arrivo nella vasca grande (750 litri scherzosamente ribattezzata, mutuando il nome dal vernacolo romanesco, il “Mammaluccone” ) i pesci avevano un taglia intorno ai 10 cm, nel prosieguo dell’esposizione mi concentrerò, quasi esclusivamente, su quanto accaduto all’interno di tale vasca:


La vasca (750) litri pronta per accogliere i messicani: ci sono ancora piante, una lezione che devo ancora imparare.

  • I pesci non sono, ancora, realmente aggressivi (alcuni T. maculipinnis nuotano allegramente con loro) ne mostrano una territorialità particolarmente elevata. Le cose cambieranno nel tempo …
  • Tutti sono ancora caratterizzati da una livrea grigia non particolarmente vivace. Trasformarli in un grosso – colorato – ciclide è un processo lungo, che richiede molta pazienza.
  • Le piante (Vallisneria gigantea ed Anubias varie) crescono ancora bene, col tempo la cosa cambierà. Saranno le Anubias le ultime ad arrendersi.
  • Il fondo della vasca ha, ancora, un aspetto uniforme con piante, rocce e radici nella posizione in cui, originariamente, erano stati collocati. Successivamente, per garantire una maggiore stabilità, a fronte dell’incessante attività di scavo ho optato per un substrato a granulometria maggiore. Risulta meno naturale ma limitando il sommovimento del particolato dal fondo rende la vita delle pompe, ed il lavoro dei filtri, meno gravosa.

Il “Mammaluccone”: è la mia vasca principe, nata per ospitare i ciclidi del secondo viaggio in Malawi (1999) ha dato, in seguito, asilo alla tribù malgascia (di cui ho parlato alla prima edizione di  Acqua Beach) ed attualmente ospita i “messicani”.
È una vasca semplice, nei servizi tecnici, ma affidabile anche in ragione della spartana dotazione tecnica caratterizzata dalla “ridondanza” dei servizi principali: nessun riscaldamento (in questo allestimento, in linea generale sono previsti due riscaldatori da 200 Watt ciascuno) due filtri interni (simmetrici e speculari nell’allestimento con una capacità, complessiva, di cento litri) più due “power-heads” (movimento acqua e cattura del particolato più grosso). La portata complessiva (ed altamente teorica) delle pompe nel loro complesso è di 4000 litri/ora. L’illuminazione sfrutta quattro “tubi” (due blu/due bianchi) da 30 Watt ognuno, con accensione/spegnimento differenziato e fotoperiodo complessivo di circa 11 ore.

Prendersi cura dei pesci (una volta cresciuti): non è particolarmente difficile purché ci si ricordi che queste bellezze possono essere (potenzialmente) aggressive, specie nei confronti delle altre specie in vasca. Ho dovuto impararlo, malgrado tutto, a mie spese, per cui … PRUDENZA!!! In dettaglio:


Pesci, ancora in livrea sub-adulta, qui ripresi in una fase più avanzata della loro crescita.

Alimentazione:
I miei vanno letteralmente “ai matti” per invertebrati e piccole lumache (un simile cibo, scavato nel fondo, è una delle colonne portanti del loro regime alimentare in natura), è importante che le dimensioni dei gusci consentano loro di spezzarli (per masticare l’interno) ma non sottovalutate la forza delle loro mascelle (e dei loro, peculiari e già citati, “denti faringeali”). Le piccole Ampullarie ma anche tutte le “lumachine infestanti” tipiche degli acquari piantumati sono perfette allo scopo. Comunque, in vasca, accetteranno avidamente fiocchi (un po’ meno col crescere della taglia), pellets, compresse (avrete il vostro bel “da fare” per riuscire a farle arrivare a portata degli eventuali pesci di fondo ospitati!), cibo fresco/surgelato, incluse le verdure bollite, di dimensioni compatibili con la taglia dei pesci (insomma non “sbocconcellano”). Ricordare, comunque, che devono essere considerati basicamente carnivori. Il il cibo vivo (generalmente ben accetto) non è un obbligo per cui ciascuno, in merito, si regolerà come meglio crede.
Compatibilità:ho fatto la prova con cinque Torichthys maculipinnis (incluso un maschio realmente XXL) ma non ho avuto, alla lunga, successo. L’introduzione di diversi pecilidi (di allevamento), sebbene siano una presenza comune nei loro biotopi originari, si è tramutata in un film dell’orrore, con mia sorpresa.


Poecilia messicana (in primo piano la femmina) può essere una aggiunta interessante in una vasca di ciclidi messicani, ma – come detto – l’aggressività dei “Labridens gialli” è elevata (e difficile da controllare anche in vasche ampie) per cui … cautela! L’immagine è stata scattata in natura: questo pecilide (sovente introdotto a casaccio ove non presente) popola tutte le acque del Messico.

Compagni di vasca: Visto quanto sopra l’unica esperienza positiva (di “tank-sharing”) che posso riportare riguarda la coabitazione con un trio di Ancistrus sp. III ed un singolo, solitario e schivo, Panaque (dubbia identificazione) frutto del viaggio in Amazzonia. Gli Ancistrus hanno anche riprodotto (una volta prima che gli H. labridens divenissero troppo grandi), ma – e non mi è parso strano … – non ci sono state “crescite”.
Arredamento vasca: scegliere elementi che ricordino il loro habitat naturale fatto di acque fresche con un substrato di sabbia, fango, sedimento. Grossi rami, radici e massi andranno “sparsi” in giro, le piante faticheranno a crescere.


Un’altra immagine presa, anch’essa, in natura.

Dimensione minima della vasca:
400 litri è il (reale) “minimo sindacale” per una coppia da sola (sperando che raggiungano il necessario equilibrio e che – sopra ogni cosa – lo mantengano nel tempo!). Attenzione – invece – alle loro necessità se allevati (come sto facendo io) come “gruppo riproduttore” (o, all’inglese, “Breeding Group”), non scenderei ma sotto i cinquecento litri (parametro ottimistico).
Cambi d’acqua: Io solitamente cambio, ogni tre settimane, quattrocento litri (quindi poco più della metà della capacità lorda della vasca) e non riscontro problemi specifici tuttavia, come recitano i sacri testi sarebbe meglio procedere con cambi più ravvicinati e meno massicci (ma spesso altri impegni non mi consentono di fare diversamente). Prestare sempre attenzione ad evitare “shock termici” al momento del cambio: io uso un mixer collegato all’impianto domestico dell’acqua calda (non è precisissimo ma fa bene il suo dovere). Ultimo breve punto: non uso alcun tipo di additivo al momento del cambio dell’acqua.
Comportamento in vasca: la disponibilità di spazio in abbondanza contribuisce a smorzare gli eccessi temperamentali. Vedere anche, al riguardo, le voci “compatibilità” e “compagni di Vasca”.

RiproduzioneCorteggiamento, deposizione e cura degli avannotti: la mia coppia ha visitato molti (sempre in relazione alla vasca) plausibili siti di deposizione prima di deporre. Ero sicuro che avrebbero scelto quel “posticino” difeso, per settimane, con accanimento … invece, all’atto pratico, optarono per una grossa radice che stava esattamente al capo opposto della vasca deponendo in una buca, addossata al lato posteriore del legno. La conseguenza? Non ho visto la coppia deporre ne, tantomeno, le uova (quante erano?).
Avevo compreso cosa stesse accadendo ma quello che ho potuto fare è stato … “attendere”. Attendere sino a che i nuovi nati non hanno iniziato, autonomamente ma controllati dalla coppia, ad affacciarsi al mondo. Sorprendente basso è stato, anche considerando si trattava della prima deposizione, il numero degli avannotti (ma comunque sicuramente superiore al centinaio) mentre, sempre considerando si trattava della prima deposizione, è stato entusiasmante constatare come i genitori sapessero, perfettamente, “cosa fare” (ad esempio praticare un massivo “stirring” per far alzare dal fondo particelle minime di nutrimento e metterle a disposizione dei piccoli).
Come detto ho visto poco, o nulla, dell’effettivo corteggiamento così preferisco concentrarmi su quanto è accaduto dopo, più o meno le cose sono andate così:

Fase UNO: all’aumentare delle temperature le femmine iniziano ad assumere la colorazione riproduttiva mentre i maschi mantengono l’usuale livrea. E’ interessante notare come più femmine, quasi contemporaneamente, iniziano a cambiare colore. C’è, evidentemente, un elemento scatenate (che viene recepito anche in vasca) ma non sono stato capace di riconoscerlo. Questa fase termina quando, finalmente, i due componenti della coppia si scelgono reciprocamente. La livrea non è ancora, completamente, quella riproduttiva che però si paleserà a breve.


La coppia (in secondo piano) fronteggia, fianco a fianco, un intruso: un altro maschio si palesa a destra in foto. La differenza di colorazione fra la coppia che si prepara a deporre ed un esemplare quiescente si comincia ad apprezzare.

Fase DUE: finalmente il maschio “veste” i colori della riproduzione e viene seguito, nel comportamento e nel movimento in vasca, dalla femmina prescelta. Le altre femmine, a loro volta, mantengono la, sopra menzionata, livrea “intermedia” mentre i maschi sub-dominanti mantengono la livrea usuale.


Esemplare in livrea riproduttiva (quasi definitiva). Un ciclide fantastico, per me …

Fase TRE:
la ricerca del sito di deposizione prosegue (questa fase può risultare lunga e generare turbolenze in vasca includendo nelle stesse una gran quantità di scavi e/o “risse” con gli altri occupanti della vasca), dopo di che una volta che il protocollo (di deposizione) è stato completato con successo …


Maschio a guardia del sito di deposizione.

È solo una questione di pazienza! Ammetto non sia il mio forte ma visto che non ci sono altre possibilità e bene mettersi calmi e rilassarsi!!!

Fase QUATTRO: dopo una lunga attesa (in realtà alcuni giorni) … CI SIAMO!!!


Coppia – col maschio seminascosto – che controlla gli avannotti.

Ho evitato di scattare immagini subito dopo la schiusa, e fino a che le larve /avannotti sono stati celati alla vista (e gagliardamente difesi dalla coppia), per evitare di infastidire i riproduttori ed evitare che gli stessi (purtroppo è successo, in altre circostanze) “facessero danni”. Ho, insomma, deciso che eventuale perdita di buone immagini valesse molto meno della crescita dei nuovi nati. Non me ne pento e non posso, a posteriori, non ricordare la foga del maschio che arrivava (nelle sue veementi cariche intimidatorie) a sbattere contro violentemente contro il vetro, nel tentativo di farmi recedere, col passare dei giorni si è abituato alla mia presenza vicino alla vasca ma mai del tutto, una certa diffidenza si percepiva – anche se aveva imparato a celarla – in ogni caso.


La femmina con i suoi piccoli. Notare, rispetto alla foto precedente, la notevole differenza di taglia degli avannotti.

Considerazioni finali: mi concentrerò su due punti che ritengo meritino essere approfonditi brevemente:

  • La disponibilità di un grosso gruppo (dodici esemplari nel mio caso, successivamente scesi a dieci per cessione di una coppia ad un Amico cui non potevo dire di no) riduce grandemente il livello di aggressività perché il maschio dominante (nell’esercizio delle sue “funzioni”) deve controllare diversi obiettivi/potenziali intrusi invece che concentrarsi su un solo (possibilmente sempre lo stesso) povero pesce! Va aggiunto che nessun maschio ha, nemmeno lontanamente, tentato di vestire i colori della riproduzione a differenza delle femmine cui è concesso raggiungere, e mantenere, quella colorazione “intermedia” di cui ho detto nella fase UNO.


La coppia, col maschio in primo piano, in postura difensiva. Notare i denti del maschio (quando vuole sa far male). Credo non si sia mai, completamente, fidato di me!

Due settimane abbondanti dopo l’inizio del nuoto autonomo (attraverso uno scambio di e-mail con Juan Miguel Artigas Azas, sempre cortese e prodigo di consigli!) mi sono convinto che il livello di imprinting dei nuovi nati fosse tale da aver consentito loro di apprendere – e ricordare al momento opportuno – “cosa fare” in fase di svezzamento della prole. Quindi ho allontanato dai genitori un piccolo numero di avannotti da crescere separatamente, per meglio osservare gli eventi e come misura di sicurezza nel caso qualcosa, nella vasca principale, fosse andata male. Non ho avuto problemi particolari con nessuno dei due gruppi tranne il dover riscontrare un tasso di crescita molto minore dei primi, rispetto ai piccoli guardati dalla coppia. Probabilmente il già descritto stirring dei genitori è, ai fini della crescita, più efficace (e più costante come apporto di nutrienti nell’arco della giornata) dei vari mangimi “iper” che somministravo ai piccoli allevati “artificialmente”. Un altro punto su cui riflettere, e bene … Ripeto: NON ho avuto perdite significative/anomale/in eccesso semplicemente … “crescevano meno”!!!

Il “gruppo sperimentale” (15 in tutto) appena dopo essere stato separato dai genitori.

Conclusioni (situazione C.A.R.E.S. ed altro) La splendida sorgente di Media Luna, uno dei principali bacini idrici della Valle del Rio Verde, presenta problemi non indifferenti in relazione ai pesci che la popolano. Il prelievo di acqua a scopi irrigui (che risale al 17° secolo) continua ad aumentare ed un largo canale di cemento che rifornisce una rete di canali minori è stato costruito (1977) per agevolare le attività, ciò ha comportato – oltre gli indubbi benefici per l’agricoltura locale – la commistione delle specie ittiche della sorgente con quelle fluviali circostanti (che hanno sconfinato dai rispettivi areali di pertinenza): è il caso di Herichthys carpintis (installatosi a Media Luna dove era assente). Il suo acquartieramento nella sorgente è da considerasi sub-ottimale ma sono stati registrati casi di ibridazione naturale con Herichthys labridens. Inoltre, in assenza di altre fonti di alimentazione, H. carpintis tende a predare avannotti e giovanili di Herichthys labridens e di H. bartoni. Esemplari di Tilapia del genere Sarotherodon sono anche stati introdotti come fonte di cibo per le popolazioni locali e si ritiene possano costituire una minaccia per i ciclidi endemici sebbene differenti osservazioni in situ sembrino, a posteriori, dimostrare la difficoltà (delle stesse Tilapia) ad adattarsi agli ambienti. Anche Ictalurus furcatus (Fam. Ictaludidae, un grosso “catfish” nordamericano) è stato avvistato a Media Luna, il suo impatto effettivo sull’ambiente deve essere ancora valutato appieno.

Dettaglio, con ciclidi in riproduzione, del citato Canale della Media Luna.

Il livello di inquinamento (principalmente generato dai residui di lavorazione della canna da zucchero) degli specchi d’acqua della zona sembra essere, fortunatamente, in regressione rispetto al passato in ragione dei provvedimenti presi per contenerlo.


Il mio maschio “alfa” ripreso in uno dei suoi  momenti di migliore forma.

E veniamo, da ultimo e brevemente, allo stato della “mojarra caracolera” ovvero quell’Herichthys labridens (appunto originario di Media Luna) che nuota nella mia vasca principale: secondo C.A.R.E.S. il suo status attuale è “At Risk” (a rischio) ovvero il primo passo di una brutta strada che può terminare, in assenza di interventi correttivi, con l’estinzione. Sembrerà strano (ma la fonte è assolutamente affidabile) che una specie che ,meno di dieci anni fa, veniva considerato come uno dei tanti “pesci dei fossi” (ovvero comunissimo) abbia fatto un simile tracollo ma questa è l’amara realtà.

RiferimentiArtigas Azas, Juan Miguel; 1992; “The ‘Cichlasoma’ labridens complex’“; The Cichlids Yearbooks; volume 2; pag. 65-70.

 


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