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I ciclidi del genere Paratilapia

15/02/20070

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I ciclidi del genere Paratilapia – Sconosciuto gioiello del Madagascar

Premessa

Ha scritto, nel 1771, il naturalista francese PhilibertCommerson: “Il Madagascar è la terra promessa del naturalista, il luogo dove la natura sembra essersi ritirata in un suo santuario privato per lavorare lungo sentieri assolutamente diversi da quelli seguiti altrove. Ad ogni passo si incontrano in forme di vita bizzarre e meravigliose”. Con una simile introduzione anche il racconto della mia esperienza con questo ciclide del Madagascar (forse la mia più complessa avventura ciclidofile) dovrà – per cercare di “rendere l’idea” almeno un po’! – avere un taglio abbastanza particolare, inizierò un pò da lontano …

La “nascita geologica” del Madagascar.

Il Madagascar (con una superficie di 570.000 Kmq) è la quarta isola del mondo per estensione e nasce, almeno secondo le teorie più accreditate, dall’immenso movimento geologico che è conosciuto comunemente come “Deriva dei continenti”. Il processo inizia circa duecento milioni di anni fa, e prende le mosse dal distacco della parte più meridionale del supercontinente Gondwana poi, in tempi più recenti ma sempre considerando che stiamo parlando di tempi geologici, si verifica una ulteriore scissione: l’attuale Madagascar è già nella sua posizione originale, ed anche il canale del Mozambico risulta già formato (siamo circa sessanta/novanta milioni di anni fa) e questo evento porta, semplificando in maniera assoluta l’esposizione, all’attuale situazione. Il proseguire del movimento geologico porta infatti alla nascita, una volta a contatto con il continente asiatico, dell’India, di SriLanka, delle catene montuose dell’Himalaya e di tutto il cosiddetto “Plateau delle Seychelles“ che oggi è, per la maggior parte, sommerso e le cui estreme propaggini si estendono sino all’Australia e addirittura al Polo Sud. L’evoluzione geologica del Madagascar può essere divisa in due fasi: un lungo periodo di erosione ed un secondo periodo in cui ai processi erosivi si sono combinati forti movimenti tettonici, con fenomeni di metamorfismo (trasformazione della struttura rocciosa in seguito a cambiamenti di temperatura e/o pressione o per infiltrazione di fluidi). L’orografia del Madagascar, visto quanto sopra, può essere divisa, geologicamente parlando, in due zone:

  • Le formazioni sedimentarie tipiche, in specie, delle aree costiere (risultanti dalla disgregazione – in seguito appunto ad erosione – di materiale roccioso pre-esistente).
  • Le zone dell’interno, specie nell’area degli altipiani centrali, composte di rocce ignee (formatesi in seguito ad infiltrazione dal centro della terra di materiale magmatico ad elevate temperature: anche nell’ordine di migliaia di gradi)e metamorfiche (derivanti da trasformazioni del materiale preesistenti a causa di forti pressioni e/o alte temperature).

 

La biodiversità del Madagascar.

Le forme di vita presenti in Madagascar hanno, con l‘ovvia eccezione di quelle introdotte in seguito all’attività antropica, due possibili origini: · Erano presenti – almeno nelle loro forme arcaiche – “in situ” prima del distacco dal continente africano. · Discendono da poche “specie esploratrici” (anch’esse ancestrali) che, ad onta dell’enorme braccio di mare esistente tra il Madagascar stesso e l’Africa (intesa come Gondwana), riuscirono a raggiungere l’isola.In ogni caso le forme di vita presenti sull’isola si sono evolute lungo sentieri assolutamente peculiari che hanno portato ad una sorprendente biodiversità dando, però, come effetto collaterale un’esasperata fragilità di tutto l’ecosistema, col progredire degli studi si è notato il persistere di specie “primitive” (da un punto di vista filogenetico) che – in altri ambienti – sono state sostituite da specie più evolute: una sorta di “evoluzione alternativa”, con tutte le conseguenze del caso. Allo stato attuale delle conoscenze si ritiene che circa il 95% delle forme di vita presenti in Madagascar sia endemico dell’isola, tra loro, secondo un elenco prudenziale, annoveriamo: mammiferi (con “solo” 7 specie), farfalle (per la più parte endemiche), uccelli (circa 250 specie),testuggini e tartarughe (rispettivamente 4 e 5 specie); due terzi dei camaleonti esistenti al mondo; gechi (moltissimi gli endemismi tra le oltre 60 specie presenti); serpenti (250 specie), rane (144 specie, ancora con altissimo tasso di endemismo), lucertole (11 sono le specie endemiche); pipistrelli (28 specie). Inoltre 12.000 specie di piante (tra cui 700di orchidee; 175 di palme e 6 di baobab), con una straordinaria quantità di spezie, piante officinali e da frutto. Tutta questa abbondanza risulta(va) divisa ,in origine, su quattro habitat naturali “tipo”: la foresta pluviale, la savana, la prateria e – da ultimo – il deserto spinoso.Per venire, infine, ai ciclidi e più in generale alla fauna ittica dulcaquicola occorre notare che alcune delle attuali specie ittiche (secondo le teorie più accreditate e sulla base, ad esempio, di analisi di campioni fossili) erano presenti in Madagascar prima del distacco, anche se la “barriera marina”, almeno in una prima fase, non deve essere stato un ostacolo totalmente insormontabile. Ancora oggi, infatti, molte specie malgasce vivono in ambienti salmastri, caratterizzati da salinità diversamente elevata e soggetta a variazioni rilevanti. Le Paratilapia sono forse (tra gli endemismi del Madagascar) l’esponente più antico della famiglia Cichlidae. Aggiungo che, manco a dirlo, la loro reale posizione sistematica è almeno controversa, come vedremo …

Classificazione tassonomica.

I ciclidi del genere Paratilapia sono (da molti) considerati l’anello di congiunzione con la fauna ittica africana ed a sostegno di questa teoria è portato l’ocello tilapino (nome inglese “tilapiaspot”) posto alla base della pinna dorsale che, come noto, è ben visibile nei ciclidi africani del c.d. “complesso” Tilapia. Questo ocello nelle Paratilapia è, in ogni modo, evidente solo nei giovanili: forse un segno, nel tempo, di una diversa evoluzione.Quello, che segue, è ad ogni buon conto “l’iter” – esposto in maniera molto succinta – delle nostre conoscenze in merito a questi splendidi ed elusivi pesci.

Paratilapiapolleni: un ciclide proveniente dall’isola di NosyBé (o Nossy-Bé), situata a Nord-Est del Madagascar, è descritto dall’ittiologo olandese Bleeker (1868).
Il fiume Ambassuana, nel nord del paese, è indicato successivamente da Bleeker e Pollen come ulteriore località di rinvenimento di Paratilapiapolleni.
H.Sauvage descrive Paratilapiableekeri. Il materiale aveva origine dai fiumi e paludi ad est di Antananarivo, capitale del paese (1891). L’ittiologo francese considerò il suo pesce come una specie diversa in ragione delle differenze da P. polleni nella lunghezza delle pinne dorsale ed anale.
Pellegrin studia i due tipi (già descritti) di Paratilapia giungendo, infine, alla conclusione che si tratta della stessa specie (1904), posizione in seguito, accettata da tutti coloro che ebbero a lavorare con tali ciclidi.
Ai giorni nostri però, esistendo Paratilapia “americane” a spot piccoli e Paratilapia “francesi” a spot grandi, si è giunti – dal loro confronto – ad una posizione differente. Specifico, per chiarezza, che si fa riferimento al luogo in cui i pesci (frutto dei viaggi di studio in campo) sono stati, al termine dei medesimi, riportati, allevati ed in alcuni casi riprodotti.

Loiselle e Stiassny confermano differenze nella foggia/dimensione degli spot ma anche nella colorazione e conformazione del corpo, talché il materiale è stato, completamente, revisionato e si è giunti alla conclusione che le specie interessate potrebbero essere, addirittura, tre (1994).
Loiselle e Stiassny (1994) asseriscono (senza però fornire altre spiegazioni) che:
Paratilapiapolleni “Small Spot” è la specie tipo di P. polleniBleeker, 1868,
Paratilapiapolleni “LargeSpot” deve essere considerata P. bleekeriSauvage, 1891.
Una terza specie dall’estrema zona sud occidentale del paese sarà a breve descritta,
Ancora Loiselle e Stiassny affermano (1994) che:
Paratilapiapolleni ha piccole macchie senza la fascia frontale scura e presenta un ocello che si allunga sino sul dorso, sin nella parte molle della pinna dorsale. L’osso mascellare superiore è nascosto. La papilla genitale, nel maschio, presenta margini arrotondati.
Paratilapiableekeri è colorata in modo diverso, presenta la fascia frontale scura e il suo “ocello tilapino” non si estende per tutta la pinna dorsale. L’estremità posteriore dell’osso premascellare è visibile, mentre la papilla genitale del maschio presenta margini increspati.
La possibilità oggettiva di parlare di due specie è controversa; poiché la posizione/dimensione degli spot varia (sensibilmente) da esemplare ad esemplare: esemplari “Small Spot” e “Large Spot” sembrano potersi presentare nella medesima schiusa. Tra gli altri Burnel (1994) dubita si tratti di due specie diverse preferendo parlare di P. pollenibleekeri invece di P. bleekeri per trattare, quindi, gli esemplari “LargeSpot” come una sottospecie. L’esatto status tassonomico (di questi pesci) è, dunque, molto dinamico ed i suoi cambiamenti sono continui.Successivi studi sul DNA per merito del Dr. PaullLoiselle, pur lungi dallo scrivere la parola fine sulla questione, hanno dimostrato che le Paratilapia provenienti dalla zona di “Andapa” (conosciute in precedenza come Paratilapiapolleni “LargeSpot”) sono in realtà una nuova, e diversa specie ed è quindi da adottarsi – come specie non descritta – il nome Paratilapia sp. “Andapa” (comunicazione di PatrickDeRham al discussiongroup sui pesci del Madagascar cui partecipo).

Quelle esposte sopra sono le mie conoscenze dell’argomento: mentre i riferimenti più datati si possono ovviamente considerare consolidati la situazione attuale è ben diversa risultando essere molto più fluida con cambiamenti di stato (posizione tassonomica) anche rilevanti – oltre che sovente non condivisi univocamente – più che possibili. In breve: la parola fine al riguardo è – ancora oggi – ben lungi dall’essere stata scritta …

Giova infine aggiungere che – stante la scarsa conoscenza che di questi pesci si aveva solo, alcuni decenni fa – è possibile che i primi esemplari arrivati dai luoghi di origine siano stati stabulati/allevati ma soprattutto riprodotti con un livello di cautela (nella salvaguardia della loro diversità biologica) che oggi sarebbe ritenuto appena sufficiente.

Le Paratilapiapolleni

in natura:

La disposizione (ed il rinvenimento) sul territorio delle specie di Paratilapia descritte rende evidente che esse non abitano zone limitrofe del territorio, ma al contrario sono rinvenute in modo disordinato sulla costa orientale, al nord ma anche nella zona ovest, non è inoltre chiaro se vivano simpatricamente nelle medesime zone.

Ricordo che si ha speciazionesimpatricaal sorgere di una nuova specie nello stesso luogo di residenza della specie genitrice: questo processo di diversificazione risulta essere veloce e vi si contrappone, nei tempi e nei modi, la speciazione allopatica:: un limitato gruppo di esemplari di una specie viene a trovarsi isolato – per cause contingenti – dalla specie madre e in conseguenza di ciò si sviluppa, in tempi più dilatati, lungo una diversa direttrice.

Paratilapiapolleni è rinvenuta, in natura, a quote sino a 1.500 metri, può sopravvivere sino a 12° C (per brevi periodi) e sostenere (più a lungo) temperature di 15° C. All’estremo opposto sta il reperimento di alcuni esemplari in sorgenti calde, con temperatura sino a 40° C valore che va considerato come il limite superiore: Questi pesci, essendo poco fiscali in merito alla chimica dell’acqua, colonizzano anche sorgenti contenenti soda e/o ambienti salmastri (Nourissat 1992). La taglia massima raggiunta è di 25/30 cm (in acquario può forse arrivare ad eccederla): sul luogo esemplari di 20 cm sono già considerati rilevanti: è – in ogni caso – una dimensione che li inserisce agevolmente nelle specie di importanza edule.

Questi pesci sono, morfologicamente, vicini (anche) ai ciclidi centro americani ma sebbene caratterizzati da bocca grossa non sono dei predatori “dedicati” (e segnatamente dei piscivori), si nutrono invece di insetti, larve, girini, piccole rane e occasionalmente di piccoli pesci.

Il dimorfismo sessuale è evidente: i maschi eccedono le femmine, per taglia, sino ad un terzo, a pari età i maschi sono più lunghi e robusti e possono presentare (appunto come molti ciclidi centro/sud americani) una marcata “bozza frontale” con pinne dorsali/anali più appuntite. Le differenze cromatiche sono, al contrario, meno marcate limitandosi nelle femmine ad una minore luminescenza degli spot, solitamente con tonalità blu/argentata, talvolta con riflesso oro. A titolo di curiosità faccio presente che il mio maschio dominante ha sviluppato una marcata dominante verde nella zona frontale (cui si contrappone una “bozza frontale” non marcatissima) ritenuta abbastanza peculiare. Le differenze di taglia si fanno evidenti a partire dai sei mesi (con l’ocello tilapino che inizia a scomparire) ed in certi casi anche prima. Avendo avuto – alla taglia di tre/quattro cm – opportunità di scegliere due pesci in una covata di Paratilapia sp. “Andapa” di fronte alla mia perplessità (sulla ventura di “azzeccare” la coppia, ovviamente) mi fu detto di scegliere il più grande ed il più piccolo dei pesci presenti: così feci e, a posteriori, cosi fu! Con mia, ovvia, soddisfazione …

… e in acquario:

La grande “plasticità biologica” di questi pesci (come sommariamente sopra descritta) si palesa anche in acquario in termini d adattabilità a condizioni di mantenimento anche sensibilmente divergenti.

Sono pesci ragionevolmente calmi e pacifici (anche secondo gli standard dell’appassionato di ciclidi, sovente un po’ … particolari!), specie considerando la loro taglia e forza: ho allevato a lungo, senza marcate difficoltà, otto pesci (risultati poi essere quattro coppie) in 750 litri. I miei problemi sono cominciati quando, per motivi di taglia, sono stato costretto a “sfoltire”: nel medesimo spazio due (sole) coppie hanno sviluppato comportamenti maggiormente territoriali e per il maschio perdente è finita male …insomma il noto principio di “overcrowding” sembra funzionare anche con le Paratilapia.

Questi pesci vanno alloggiati in ambienti arredati con rocce, radici e fondo di pezzatura media, non danneggiano le piante se non incidentalmente (ma volendo inserirle è bene prendere in considerazione solo specie robuste e poco esigenti): se è data loro l’opportunità si sceglieranno un posto di loro gradimento – meglio se consente di sorvegliare una vasta zona della vasca – nel quale stazioneranno a lungo, sovente quasi immobili. L’attacco del maschio verso le femmine (anche non “ricettive”) è considerato evenienza assai rara. Mi sento di confermare una tale asserzione, con qualche minima riserva su cui cercherò di approfondire …

Tutte le Paratilapia temono – nell’accezione generale – i cambiamenti radicali dell’ambiente in cui si muovono (la mia esperienza personale mi porta però a confutare – almeno in parte – tale convincimento). Nel caso di urti (ricordarsene arredando la vasca) contro elementi “abrasivi” possono riportare escoriazioni che poi non sono facili da curare/rimarginare. I cambi d’acqua troppo vigorosi sono sconsigliati dalla letteratura al riguardo: devo però aggiungere che personalmente sono andato, senza conseguenze evidenti, ed in più occasioni, sino al 50% della capacità netta della vasca, con segnali di stress minimi/nulli. Questi ciclidi, invece, sono molto sensibili ad una cattiva gestione del ciclo dell’azoto e possono – in queste condizioni – essere oggetto di attacchi di protozoi: da quanto sopra discende l’invito a dimensionare “ad abundantiam” i filtri ed eseguirne la relativa manutenzione senza lesinare nell’impegno. Sono, infine, possibile preda dell’Ichthyo nei cui confronti, però, si può operare incrementando – anche in maniera rilevante – il tasso di salinità in vasca.

In acquario si alimentano come in natura (con le dovute, ovvie, proporzioni) accettando ogni tipo cibo (di dimensione adeguata) che è loro offerto, ai miei pesci io somministro pellets, tavolette con spirulina (che si contendono con i loricaridi presenti in vasca), saltuariamente filetti di pesce fresco tagliati in piccoli pezzi, insetti vivi e sicuri (ovvero non trattati con alcun pesticida) sono ben accetti. Io uso camole (del miele e della farina, che compro nei negozi di erpetologia) e – dopo le piogge – grossi lombrichi fatti in pezzi (prelevati in guardino dove non sono in uso anticrittogamici di alcun tipo). Senza alcun entusiasmo, in caso di necessità, accettano anche cibo in fiocchi … ma questo comportamento va considerato un indice della loro preferenza per cibi più sostanziosi. Sulla base di queste premesse non mi sento (vedi foto) di escludere l’azione di predazione nei confronti di pesci “eccessivamente” piccoli presenti in vasca.

L’illuminazione è – al contrario – argomento di relativa importanza: sono pesci sciafili (ovvero che non amano la luce) che in natura sono particolarmente attivi all’alba e al tramonto (ecco spiegato – forse – il motivo delle lunge soste nel loro “punto di stazionamento” nelle ore di piena luce). Vedremo quindi le Paratilapia sfoggiare i loro migliori colori nelle ore del mattino a vasca “spenta” (specie se la luce naturale riesce in qualche modo a raggiungere la vasca) e/o quando l’acquario (ancora esperienza personale) è illuminato in maniera modesta.

Vediamo, a questo punto, le vasche utilizzate nel corso di questa mia esperienza giunta ormai al quinto anno:

Vasca principale: cm 180*60*70.

Il punto focale dell’avventura (ripreso nell’immagine sottostante): l’acqua è molto ambrata perché la foto è stata scattata dopo una massiccia ristrutturazione della vasca con inserimento di grosse radici che, specie nella fase iniziale, hanno rilasciato molti acidi tannici ed altre sostanze coloranti.

Aggiungo che nell’acquario non sono presenti piante a causa della presenza di loricaridi di taglia, che le considerano un cibo di prima scelta, ma le Paratilapia (tutte, nella mia esperienza) non danneggiano minimamente le piante, con l’unica accortezza di sceglierle robuste vista la taglia finale e la forza dei pesci; anzi gradiscono le zone d’ombra che risultano formarsi con l’abbondante vegetazione.

Capacità (750 litri): in principio venne da me ritenuta la cubatura minima indispensabile per pesci di gruppo (se di taglia non eccessiva) oppure per due/tre coppie. Col tempo ho capito che è sufficiente per un gruppo di pesci adulti, almeno sino a che i fenomeni legati alla maturità non diventano troppo evidenti. Una singola coppia (ben affiatata) è gestibile anche in ambienti più ristretti: direi, in ogni caso, non inferiore a 350/400 litri.

L’illuminazione: consta di quattro lampade bianche/blu (per complessivi 120 watt) con accensione e spegnimento differenti, la fase serale (con le sole luci blu accese) è particolarmente lunga. Il fotoperiodo complessivo è di circa 11 ore.

La filtrazione: è generosamente dimensionata con i due filtri principali – coadiuvati da altre due unità secondarie – aventi volume di circa ai cento litri. Il sistema è servito – complessivamente – da cinque pompe per (oltre) 4.100 litri/ora di portata. Un simile sfoggio di potenza e dimensione è stato, in più occasione, la chiave di volta per il superamento di situazioni potenzialmente critiche.

Il riscaldamento: non è particolarmente importante, io utilizzo due termostati (da 200 watt l’uno). Giudico positivamente (in inverno) un abbattimento della temperatura: in Madagascar la stagionalità è, talvolta, marcata. La “soglia minima” (in funzione della presenza degli altri ospiti nell’acuario) è di circa 21/22° C.

Vasche di servizio (due):

Capacità 125 litri: qui è cresciuta la coppia di Paratilapia sp. “Andapa”.

Capacità 140 litri: è divisa in due sezioni con servizi tecnici – tranne le luci – indipendenti a beneficio di una maggiore flessibilità d’uso (quando necessaria). In tale acquario, specie all’inizio, ho “giocato” con i parametri dell’acqua (con i pesci divisi in due gruppi omogenei) senza riscontrare, in merito a crescita e comportamenti, differenze rilevanti. Visti i pesci interessati ho evitato di arrivare a valori estremi ma il confronto è stato comunque interessante, confermando – in sostanza – quanto visto prima in merito ai comportamenti in natura e relativa “sensibilità” a parametri dell’acqua differenti.

Esperienze all’aperto (in vasca esterna):

Nell’estate del 2006 (grossolanamente da inizio Giugno a metà Settembre) ho allevato la mia coppia di Paratilapia sp. “Andapa” in una vasca del giardino con una prassi (a fini di verifica di un possibile diverso approccio a questi pesci) assolutamente differente:

  • Vasca da 200 litri – tendenzialmente piccola per simili pesci – e “non tecnologica”: era in uso solo un piccolo filtro più che altro per dare – a me, credo … – una maggiore tranquillità,
  • Illuminazione solo (ovviamente) naturale: luce solare che seguiva il fotoperiodo stagionale,
  • Piantumazione elevata (piante dei nostri laghi, canne palustri, papiri, ninfea in continua fioritura) ma anche (a causa della giacitura della vasca) con notevole crescita di differenti alghe,
  • Alimentazione “aggiuntiva” (ovvero quella che somministravo io) molto modesta, talvolta nulla per più giorni, se possibile cercavo di somministrare cibo “sostanzioso” (esempio: camole del miele) ad integrazione delle (possibilmente scarse) catture naturali.
  • Cambi d’acqua modesti/nulli ma il rabbocco (per evaporazione) era a cadenza giornaliera e talvolta, nelle giornate di più intenso calore anche mattina/sera.

Questo stato di cose ha comportato, ovviamente, elevate fluttuazioni della temperatura e – ragionevolmente – del tenore dell’ossigeno in acqua. La vasca ha rapidamente assunto un aspetto molto “palustre”, assolutamente diverso da un acquario (almeno come siamo abituati a pensarlo nel nostro hobby). Una condizione che conferma ulteriormente l’elevata adattabilità di questi pesci a condizioni assolutamente differenti.

Le Paratilapia sono nella vasca superiore

Ma osservarle non è facile e quando si mostrano (foto sotto) tra riflessi (del sole e dei vetri) e materiale in sospensione (alghe ed altro) non è semplice ottenere delle foto di buona qualità

Maschio di Paratilapia sp. “Andapa” (in foto): si nota la “puntinatura” di dimensione maggiore (che le aggiudicò, in passato, il nome comune di “LargeSpot” rispetto alle Paratilapiapolleni (conosciute come “Small Spot”.

Sono, come noto, pesci schivi possono trascorrere (specie nelle ore centrali della giornata) lunghissimi periodi nello stesso posto praticamente immobili …

Ho potuto, in ogni caso, fare alcune altre osservazioni che ritengo interessanti ad integrazione di quelle fatte all’interno, ad esempio:

  1. La mia coppia (caratterizzata da elevata differenza dimensionale) si è dimostrata, in principio, molto timida, anche se l’aggiunta di un altro ospite (un pesce rosso) non si è risolta in un disastro solo per caso: essendo rimasto in osservazione accanto alla vasca osservando la veemenza della reazione – inattesa, visto il suo comportamento sino a quel momento – del maschio ho agito – celermente – di conseguenza …
  2. Col tempo il comportamento del maschio è cambiato molto e appropinquandosi alla vasca era facile vederlo uscire dal suo nascondiglio avvicinandosi al pelo dell’acqua per attendere l’eventuale somministrazione di cibo sempre cercando di restare, per quanto possibile, al coperto. La femmina è, invece, rimasta sempre molto più schiva: sono anche arrivato a darla per “persa” …
  3. Questi pesci hanno una capacità di mimetismo sorprendente. Rimanevo – ogni volta – sorpreso dal suo silenzioso apparire: il pesce sembrava – improvvisamente – materializzarsi dal nulla.
  4. La ben nota (ed anche da me riscontrata) maggiore attività di questi pesci nelle prime ore del giorno è risultata essere influenzata dalla temperatura ambientale e di conseguenza dell’acqua. Nelle mattinate più fredde (o meglio, meno calde vista la stagione estiva) era possibile osservare il maschio intento ad una sorta di “basking”: si piazzava nell’angolo che prima era raggiunto dal sole ed aspettava, scaldandosi pian piano … l’eventuale cibo somministrato in questa fase era accettato con estrema riluttanza o – addirittura – rifiutato del tutto.
  5. Evidentemente le variazioni di temperatura che si hanno in vasca non sono sufficienti (ove siano presenti in modo rilevante) ad innescare un simile comportamento, che è invece molto interessante da osservare …
  6. La territorialità del maschio nel giro di settimane si è spinta sino al punto di aggredirmi/mordermi (ed i suoi denti … pungono!) ogni volta che mettevo le mani in vasca (per manutenzione od altro).

Un simile comportamento, prolungato nel tempo e corroborato da una “lucentezza” di colori (la luce solare “vera” – altro che lampade, seppure raffinate – fa miracoli!) non riscontrata altrimenti, mi ha lasciato sperare a lungo che fosse finalmente in corso una deposizione/guardia dei piccoli. Purtroppo col finire dell’estate, al rientrare dei pesci all’interno, anche questa speranza è andata delusa …

Segnalo – per finire – buone convivenze in acquario (forse a scapito delle riproduzioni che non ho – ancora? – avuto) con Haps del Malawi (Aulonocarasp.;Copadichromissp.; Fossorochromisrostratus e non solo), con Loricaridi, e con piccoli/medi ciclidi del centro america (Cryptoherosnigrofasciatum tra gli altri). La convivenza con un grosso Synodontiseupterus (famiglia: Mochokidae) è stata meno agevole e ancora non ho ritorni di convivenza con pesci veramente aggressivi e/o estremamente territoriali ma sono – almeno a posteriori – dell’idea che a simili pesci (come ad altri ciclidi del Madagascar) andrebbero destinate vasche, almeno grossolanamente, di biotopo/monospecifiche.

In merito – in chiusura – ai loricaridi, che soggiornano con le mie Paratilapiapolleni:

 Un grosso Cohliodon sp. originario dell’Amazzonia peruviana, Iquitos (in questo momento alla taglia di circa 25 cm), è frutto del viaggio in Perù del 2000.

Paratilapiapolleni “SmallSpot”

Nome comune, in lingua locale Fony, Sofony.

Le foto che seguono sono opera (sono state scattate nella vasca principale, in occasione della sua visita) di JuanMiguel Antigas Azas che ringrazio per la sua cortesia

Il maschio dominante sfoggia la strana, e già menzionata, colorazione verde della fronte.

Come detto – in foto la femmina – non si tratta di piscivori dedicati, però …

Il maschio, ancora nella vasca principale, ripreso con luce soffusa che più gradisce.

Coppia (con la femmina in primo piano) sempre nella vasca grande.


Questa foto (invero molto scarsa anche perché scattata “senza preavviso”: non mi aspettavo nulla del genere e quindi il vetro non era stato sottoposto ad alcuna pulitura … preventiva!) riprende la femmina intenta alla guardia – nel circolo rosso, ma non solo! – delle uova. Ottenere in vasche all’aperto un simile risultato non è semplice ed in vasca, in casa, è ancora più inconsueto. Purtroppo le uova – per motivi a me ignoti – sono andate perse addirittura prima della schiusa, ed i due attori non ci hanno più riprovato, per il mio sommo sconforto …

Paratilapia sp. “Andapa” (ex LargeSpot)

Nome comune, in lingua locale Marakely (al centro) e Akandra (nel Nord dell’isola)

Alcuni scatti, provenienti dall’archivio MCH, di Paratilapia sp. “Andapa”: nella prima foto si vedono bene, specie nell’esemplare in primo piano, i denti che – come già raccontato – ho più volte “assaggiato” nel corso delle manutenzioni nella vasca esterna.


Esemplari sub-adulti, con un maschio in primo piano (sopra)

La coppia in foto permette di apprezzare bene la diversa dimensione (in funzione del sesso) negli esemplari adulti. La femmina è – ovviamente – in primo piano.

Un piccolo “sfoggio” personale …

A chiunque voglia approfondire la conoscenza di questi misteriosi pesci consiglio il libro del compianto JeanClaudeNourissat e di Patrick de Rham (ben scritto e meglio illustrato) che è una vera miniera di informazioni sul Madagascar, la sua geologia, geografia, flora e fauna non limitata questa ultima ai soli ciclidi.

Lo “sfoggio personale” (che mi auguro sia consentito) è nella seconda immagine: la dedica autografa ad opera di Patrick De Rham …

 

Vorrei segnalare come questo volume è, di fatto, l’unica proposta scritta da hobbisti (molto avanzati) per altri hobbisti: non è insomma un trattato di ittiologia ma è, al contrario, è un interessante libro, dalla lettura estremamente agevole ed interessante.

Conclusioni.

Io – lo ammetto – AMO questi ciclidi! Sono pesci esigenti, che richiedono dedizione e – nel tempo – la capacità e voglia di confrontarsi con tante domande per le quali si hanno poche – sovente meno che certe – risposte.

Sono pesci che – tra mille ostacoli ed infinite pastoie – vengono da quella che può essere considerata “l’ultima frontiera” del naturalismo, una realtà di cui il genere umano sta facendo, purtroppo, un uso pessimo.

Sono pesci che portano dentro di loro una storia millenaria, per alcuni capitoli della quale (le specie estinte, sovente addirittura prima della classificazione scientifica) è stata è già stata scritta, in maniera irreversibile, la parola “fine”.

Sono (se si riesce davvero a capirli: una cosa che a me – in sincerità – non è ancora riuscita sino in fondo) pesci assolutamente “coinvolgenti”, di un coinvolgimento che in alcuni casi è giunto sino al Limite Estremo come nel caso di FredericDefond, attaccato ed ucciso da un coccodrillo mentre in natura osservava (sott’acqua) i comportamenti di Paratilapiapolleni oppure di JeanClaudeNourissat (che mi onorava della Sua consuetudine) che non è sopravissuto ad una malattia contratta durante un viaggio di studio in Madagascar.

Nel mio modestissimo piccolo, per finire, questi i pesci mi hanno portato a tradire – in maniera “quasi” irreversibile – i miei amatissimi ciclidi del Lago Malawi, i … “malawitosi” (come io amo chiamarli!).

Bibliografia

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